Condivido ergo sum

Condivido ergo sum

Siamo tutti social: il piacere della condivisione

Strani percorsi quelli linguistici: alla base del concetto di condivisione c’è, prima, quello di separazione. Mi spiego meglio: cum dividere dovrebbe significare “dividere insieme”. Ma l’etimologia del verbo dalla lingua latina spiega il primo passaggio di separazione da se stessi, ancor prima della partecipazione altra o corale.

Cosicché mi piace pensare che la condivisione possa, volontariamente o meno, portare alla nascita di due entità diverse tra loro, con una loro autonomia: il cedente e il ricevente o la cosa ceduta e la cosa ricevuta.

A pensarci, è un fenomeno creativo: una parte di noi va a confluire nelle mani o nella mente di un altro. L’appropriazione può essere egoistica o, altruisticamente, ulteriormente condivisa. Ne consegue (o potrebbe conseguirne) una distribuzione a cascata di un bene materiale o immateriale che parte dal sacrificio del cedente iniziale, il quale potrebbe configurarsi benissimo in un profilo di benefattore.

Certo, è più difficile separarsi da un bene materiale. Inoltre, c’è la questione del sacrificio iniziale: potrà essere capito dal destinatario del bene? Il bene andrà a chi se lo merita veramente?

È un po’ come la differenza tra un’opera d’arte figurativa rinascimentale e una astratta: la differenza non è solo visiva ma di difficoltà di esecuzione, d’impegno anche fisico. La fotografia, il cinema, la televisione, i video, in tempi moderni, hanno portato a premiare l’idea più della composizione.

Al centro della condivisione, dunque, c’è un’idea, un messaggio che corrisponde al vero motivo della diffusione. Per quest’idea, o, meglio, per la diffusione della stessa, siamo disposti a sopportare il sacrificio del costo di un libro, ad esempio. L’importante è che il messaggio contenuto in quelle pagine faccia il suo corso.

Bello “liberare” un libro? Bello, ma solo se un doppione non “vissuto”.

Eppure sono d’accordo con chi ha detto che il libro è un lavoro e che il lavoro si paga. Perché? Perché è vero che chi “libera” un libro libera un’idea, ma è anche vero che lo stesso libro sarà sottratto alla memoria di chi lo cede. Resterà nel proprio archivio mentale ma non più nella propria libreria dove potrebbe essere consultato e riconsultato più volte, sottolineato, vissuto con note a margine e segnalibri con un colore diverso per ogni suggestione ricevuta.

Alla liberazione del libro, preferisco la libera consultazione del libro nel suo luogo eletto: la biblioteca. Purché, in un tempo relativamente breve, ritorni fra i suoi simili.

Se poi ti senti simile al tuo libro, perché dentro c’è un po’ di te, conservalo nella tua libreria.

Dario De Pasquale

Web marketing manager, certificato Google© e Apple©, padre e copywriter, marito e blogger, aiuto le aziende ad essere più digitali. Contattami: dario@sikelia.com

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